Rosa Balistreri…e i suoi comizi con la chitarra

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“Ogni volta che cercheremo le parole, i suoni sepolti nel profondo della nostra memoria, quando vorremo rileggere una pagina vera della nostra memoria, sarà la voce di Rosa che ritornerà a imporsi con la sua ferma disperazione, la sua tragica dolcezza… (Ignazio Buttitta).


Rosa Balistreri nacque nel 1927 da una famiglia molto povera, e visse l’infanzia e la giovinezza nella miseria e il degrado sociale nel quale a quei tempi versava il quartiere della Marina di  Licata, in provincia di Agrigento.

Figlia di un falegname geloso e violento, Rosa ebbe due sorelle e un fratello, Vincenzo, paraplegico dalla nascita.

Fin da bambina, si dedicò alle più umili  attività: servì presso le case di famiglie benestanti, andò a lavorare nella conservazione del pesce nel quartiere Salato, mentre, nella stagione estiva, andava a spigolare per i campi assolati dei paesi vicini.

In queste difficili condizioni, Rosa riversava nel canto la sua disperazione e la  sua speranza; la sua gioia e il suo dolore, come a  voler trasformare i versi in invocazioni e preghiere.

Attraverso una voce carica, roca e profonda, Rosa trovò il mezzo per trasmettere la  sua vita sventurata.

A quindici anni, ancora analfabeta, indossò il suo primo paio di scarpe e, ormai nota per la sua voce, cominciò ad essere chiamata per cantare in chiesa durante  battesimi e matrimoni. Un anno dopo, fu costretta a sposare Iachinazzo, che in seguito definì “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”, “ladro, giocatore e ubriacone”. Quando questi perse al gioco il corredo della figlia, Rosa lo aggredì e, credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi ai carabinieri, affrontando anche sei mesi di detenzione.

Ritornata alla libertà, per mantenere se stessa e la figlia, Rosa iniziò a raccogliere e vendere lumache, capperi e fichidindia per le strade della Marina.

Ben presto le si presentò l’opportunità di recarsi a Palermo, al servizio di una famiglia nobile. Purtroppo, il figlio dei ricchi padroni la mise incinta e, mossa dalle molte illusioni che nutriva verso il giovane, Rosa fu spinta da costui a rubare denari nella casa dei genitori.

Scoperta, fuggì ma fu nuovamente arrestata e trascorse altri 7 mesi in prigione. Nonostante fosse incinta, fu   costretta a vivere per strada, fino a quando non fu accolta da un’amica ostetrica che la aiutò a partorire un bambino morto.

Ripresasi, Rosa andò al servizio del conte Testa, e poté così sistemare la propria figlioletta in collegio a Palermo e imparare finalmente a leggere e scrivere. Dopo un breve periodo dovette abbandonare la casa del conte, e visse come sagrestana in un  sottoscala, insieme a suo fratello Vincenzo, che faceva il calzolaio. Quando il prete però tentò di abusare di lei, Rosa, senza cedere, svuotò le cassette dell’elemosina e comprò due biglietti ferroviari: per sé e per suo fratello.

Insieme giunsero a Firenze, dove Rosa visse per i successivi vent’anni. Vincenzo aprì una bottega di calzolaio e Rosa trovò lavoro al servizio di una distinta famiglia fiorentina, conquistando così una certa tranquillità.

La sorella Maria li raggiunse poco dopo, scappando da Licata, e sfuggendo alle prepotenze del marito che, raggiuntala, la uccise.

A seguito di questa  tragedia il padre di Rosa si tolse la vita impiccandosi sul Lungarno.

Superati questi ennesimi  dolorosi avvenimenti, per Rosa iniziò un periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi Lombardo, con cui visse per dodici anni, che le diede amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte…

Finita l’avventura con il suo Manfredi, che la lasciò per una modella, Rosa cadde in depressione, e tentò il suicidio. Inoltre, la sua unica figlia era fuggita, incinta, dal collegio. Per questo chiese aiuto agli amici del Partito Comunista, che le permisero di esibirsi nelle Feste dell’Unità  in  varie  città.

Fu solo alla fine degli anni Sessanta che decise di tornare in Sicilia, non più come povera serva, ma come artista affermata…

A Licata tornò un anno prima di morire, nel 1989. Rosa si spense all’ospedale di Villa Sofia a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale.

Rosa ha vissuto di canzoni, di fame, di botte e sogni mai realizzati.

Cinzia  Orabona


“La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia…” così la descrive il suo amico Ignazio Buttitta

Santi Gnoffo…la racconta così:
Nacque a Licata il 21 Marzo del 1927 da una famiglia poverissima: la madre lavorava in casa, il padre era falegname.
Ebbe una vita molto travagliata. A 16 anni fu data in sposa a Gioacchino Torregrossa. Dal matrimonio nacque l’unica figlia, Angela.
Alcuni anni dopo, Rosa scoprì che il marito aveva perso al gioco il corredo della figlia. In uno scatto d’ira lo aggredì con una lima, credendolo morto, si costituì dai carabinieri.
L’uomo sopravvisse e lei fu condannata a sei mesi di galera.
Per sopravvivere e mantenere la figlia ed anche i suoi familiari svolse molti lavori umili: venditrice di lumache, capperi, fichi d’india e sarde, in una vetreria, raccoglitrice nei campi.
Si trasferì a Palermo dove prestò servizio presso una famiglia nobile e portò la figlia in un collegio. Durante questo periodo imparò a leggere ed a scrivere.
S’innamorò del figlio del datore di lavoro e rimase incinta. Accusata di furto, fu costretta a fuggire e poi a scontare altri sei mesi di carcere. Scontata la pena, trovò lavoro come sagrestana e custode della chiesa degli Agonizzanti a Palermo.
Visse in un sottoscala insieme al fratello Vincenzo, invalido, che imparò a fare il calzolaio.
Fu molestata dal prete e non accettando le avances fu licenziata.
Rubò i soldi delle cassette dell’elemosina e partì col fratello Vincenzo per Firenze.
Qui, quest’ultimo trovò lavoro presso una bottega di calzolaio, Rosa prestò servizio in alcune case signorili e richiamò a Firenze anche la madre e una delle due sorelle. Insieme aprirono un banco di frutta e verdura al mercato di San Lorenzo.
Anche la sorella Maria, era scappata insieme ai figli dalle prepotenze del marito ma questi la raggiunse e la uccise.
A causa del dispiacere, il padre di Rosa si tolse la vita impiccandosi.
Nei primi anni Sessanta, Rosa incontrò il pittore fiorentino Manfredi Lombardi.
La loro storia d’amore durò dodici anni. Fu in questo periodo che conobbe alcuni intellettuali del suo tempo.
Nel 1966 partecipò ad uno spettacolo di canzoni popolari diretto da Dario Fo, dal titolo Ci ragiono e canto. Iniziò così la sua avventura canora.
Le avversità della vita l’avevano segnato nel corpo e nel carattere, osservando le sue mani si capiva che aveva svolto lavori umili e pesanti, solitamente era triste ma il suo carattere fu sempre forte.
Attraverso il canto denunciò le condizioni delle donne siciliane, il connubio tra mafia e religiosi, le ingiustizie sociali.
Nelle sue canzoni parlò anche della vita dei contadini e non tralasciò di raccontare la cultura retrograda del popolo siciliano, la miseria, i soprusi, la rabbia e l’orgoglio, le preghiere e le maledizioni del popolo siciliano.
Il suo timbro di voce e la cadenza erano particolari, il suo modo di cantare apparentemente rude diventava soave nelle canzoni che rievocavano l’amore.
Nei suoi spettacoli riusciva ad ammaliare il pubblico.
Nel 1973, partecipò al Festival di Sanremo con il brano Terra ca nun senti (Terra che non ascolti, riferito alla Sicilia) ma poco prima della gara fu esclusa senza alcuna spiegazione.
Ad un giornalista che la intervistò rispose: «Ho imparato a leggere a 32 anni. Dall’età di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po’ di pace terrena».
Questo episodio suscitò tanto clamore, Rosa fu considerata da molti la vera vincitrice del Festival di quell’anno.
Aggiunse: «Li ho messi tutti nel sacco. Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l’opinione pubblica sarà più sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l’emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi… Finora ho cantato nelle piazze, nei teatri, nelle università, ma sempre per poche migliaia di persone. Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie. Era questo il mio scopo quando ho accettato di cantare a Sanremo. Anche se nessuno mi ha visto in televisione, tutti gli italiani che leggono i giornali sanno chi sono, cosa sono stata, tutti conoscono le 145 mie idee, alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su ciò che canto».
Iniziò, quindi, ad incidere dischi. Nel 1971 si trasferì a Palermo, dove frequentò persone come il pittore Guttuso e il poeta Ignazio Buttitta, che scrisse per lei alcuni testi.
Nel 1974 partecipò, insieme ad altri cantanti folk, ad un’edizione di Canzonissima.
Morì a Palermo il 20 Settembre del 1990.
Purtroppo, durante la sua vita, fu osteggiata dai critici musicali che rivalutarono le sue interpretazioni soltanto dopo la sua morte.
In un’intervista, lo scrittore Andrea Camilleri, che la conobbe durante uno spettacolo alla Rai, disse che Rosa, nonostante la vita tormentata, aveva l’animo di una bambina.
Ancora oggi non ha un’erede. Interpretava le canzoni popolari siciliane con un tono molto drammatico esprimendo il senso di povertà e l’orgoglio della sua Sicilia.
«Si può fare politica e protestare in mille modi, io canto. Ma non sono una cantante… sono diversa, diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra».
Questo era il credo di Rosa Balistreri.
(Santi Gnoffo, Donne di Sicilia)

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Rosa canta e cunta…alla ricerca in fondo al mare di Colapisci

Il Re manda Cola Pesce (mezzo uomo e mezzo pesce) a vedere nel mare su quali fondamenta poggia il suo regno. Cola Pesce porta le novità. Il regno poggia su tre colonne (le tre punte della Sicilia) ma una si sta rompendo.

Cola Pesce alias ROSA BALISTRERI resta giù nel mare a sostenere la colonna per salvare il regno e non fare sprofondare giù la Sicilia



Brani liberamente tratti da YOU TUBE – Testi liberamente raccolti da vari siti internet

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